Esprimere le proprie idee durante le riunioni

dire la propria idea durante una riunione

Prendere la parola durante le riunioni, specialmente quando si vuole esprimere dissenso, può essere un’esperienza faticosa. I fattori che comportano ritrosia nell’esporsi sono differenti e possono dipendere dalle caratteristiche della persona, ma anche dalle qualità del gruppo o dell’organizzazione all’interno di cui si opera.

Di seguito vedremo le condizioni personali, del gruppo o aziendali che possono incidere sulla possibilità di esporre il proprio parere.

Caratteristiche della persona che impediscono di esporsi

Ciascuno di noi possiede delle qualità, che possono manifestarsi come pregi o difetti non tanto in relazione a una valutazione generica, ma rispetto agli effetti che producono nelle diverse situazioni. Ad esempio, la timidezza non è di per sé una caratteristica negativa, ma può comportare una criticità quando ci impedisce di esprimerci liberamente nei confronti degli altri.

Fra le qualità personali che complicano la possibilità di parlare di fronte ai colleghi, possiamo citare:

  • un’autostima poco solida e il senso di insicurezza che ne deriva;
  • un limitato senso di fiducia nelle proprie competenze (ciò che si definisce autoefficacia);
  • timidezza e paura del giudizio altrui;
  • mancanza di assertività;
  • difficoltà nel parlare il pubblico, di fronte ad una platea.

Tutte queste qualità corrispondono a tendenze di comportamento rispetto alle quali non siamo soggetti immutabili, ma possiamo imparare a compiere dei passi per cercare di andare oltre i nostri limiti. Quello che taluni definiscono “uscire dalla zona di comfort”.

Per superare queste difficoltà è opportuno cercare di compiere piccoli passi, non pretendere da sé stessi una modifica di atteggiamento radicale o immediata. Un percorso di coaching può aiutare a trovare la strada giusta per costruire il cambiamento.

Caratteristiche del gruppo che rendono difficile l’espressione personale

Le qualità personali che rendono difficile l’esporsi durante le riunioni possono essere acuite nel momento in cui ci si confronta con un gruppo di lavoro che rende questa possibilità più ostica.

Per parlare di questo ci riferiamo al concetto messo a punto nei primi anni ‘70 da Irving Janis,  psicologo statunitense, che ha contribuito alla diffusione del termine groupthink.  Con groupthink si intende il fenomeno per il quale in un gruppo tutti cominciano a pensare nello stesso modo. Nessuno esprime disaccordo o si permette di rappresentare una posizione critica rispetto a quella che prevale. Si evita a tutti i costi il conflitto, con la conseguenza di reprimere creatività, idee originali o innovative, ma anche un’analisi approfondita del pensiero collettivo. Tutto questo comporta una distorsione nei processi decisionali del gruppo. Non si sceglie più ciò che è meglio per il gruppo o l’azienda, ma ciò che comporta il mantenimento di un clima pacifico, senza considerare che potrebbe non essere la decisione migliore.

Il groupthink si può insinuare in un team di lavoro per diversi motivi. Carol Dweck, psicologa statunitense autrice del bestseller “Mindset”, ne cita alcuni:

  • un’immagine idealizzata del leader, giudicato come infallibile, e dunque persona da seguire senza spirito critico (es. potrebbe essere una persona molto carismatica). Questa idea del leader fa sì che i membri del gruppo non si sentano adeguati a proporre alternative alle sue posizioni;
  • la presenza di un leader accentratore, che sopprime il dissenso per rafforzare il proprio ego. In questo caso, i membri del gruppo smettono di esporsi per paura di essere ripresi;
  • oppure, possono essere gli stessi membri del team che, per il bisogno di sentirsi accettati da parte dei capi, si allineano completamente al loro pensiero in cerca di approvazione. Questo senza che siano i leader a promuovere un atteggiamento di cieca fiducia;
  • infine, la credenza di far parte di un gruppo dotato di talento e poteri speciali. Questa elevata opinione del team di lavoro, che magari ha prodotto ottimi risultati in passato, può far sì che si tendano a replicare le stesse idee senza innovarsi. Oppure, se la maggioranza del gruppo punta in una direzione, chi vorrebbe fare diversamente si sente in difficoltà nell’esporre un pensiero alternativo.

Indipendentemente dalle motivazioni che portano alla diffusione del groupthink, esso rimane una modalità comportamentale improduttiva e limitante.

Quando il problema risiede nel leader o nell’intero team delle persone coinvolte, è opportuno cercare un confronto per mettere in luce – senza evidenziare giudizi negativi, ma in ottica costruttiva –  la difficoltà individuale nell’esprimere le proprie idee.

Caratteristiche dell’azienda

Organizzazioni strutturate intorno ad un’idea di gerarchia verticalizzata, dove la responsabilità è accentrata in chi si vede riconosciuto un ruolo di coordinamento, costituiscono ambienti in cui l’esposizione personale di chi ha meno potere risulta ostica. Questo tipo di modello organizzativo – oggi meno presente, perché si preferiscono strutture basate sulla diffusione della leadership – lo si ritrova, ad esempio, nelle organizzazioni militari o in alcune tipologie di aziende produttive.

Per chi lavora in ambienti di questo tipo, portare una propria idea, che sia innovativa o che esprima dissenso nei confronti del pensiero dei responsabili, diventa particolarmente sfidante. In situazioni di questo tipo, effettivamente, può essere più utile portare il proprio punto di vista in un contesto di confronto personale, evitando che l’esposizione dell’idea in gruppo possa rischiare di comportare o essere percepita come un atteggiamento di sfida nei confronti di chi decide.

In ogni caso, il contributo del singolo all’organizzazione è un importante fattore di crescita. È quindi importante che sia le persone si approccino in modo proattivo alla diffusione delle proprie idee, sia il management si apra alla valorizzazione dei contributi altrui.

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Per approfondire l’argomento riunioni, puoi leggere l’articolo su come organizzare meeting efficaci.

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