Autostima e successo del percorso di coaching

L’autostima è un aspetto centrale della personalità e può incidere sul successo di un percorso di coaching. Se un coach è in grado di cogliere le qualità dell’autostima del proprio coachee, può utilizzare questa conoscenza per dirigere al meglio il processo e utilizzare i feedback in modo mirato.

Autostima

L’autostima fa da pilastro e si intreccia con molte altre caratteristiche della persona, e determina il livello di benessere complessivo dell’esistenza.

Il livello di autostima incide sul modo in cui la persona raccoglie i feedback dall’esterno. Generalizzando potremmo dire che le persone dotate di una buona autostima possono accogliere feedback positivi e negativi senza esserne fortemente condizionate, in questo modo aumentano il loro potere di apprendimento, dal momento che possono accettare di cambiare la loro prestazione secondo i pareri ricevuti da altri senza sentirsi da loro minacciati. Invece, chi ha un livello di autostima basso tende a non credere ai feedback positivi, perché li trova irrealistici o poco credibili, mentre si sente rassicurato da quelli negativi, perché sono coerenti con l’immagine di sé.

Coaching e feedbak

Il processo di coaching, come ben descritto da Whithmore, si basa su due cardini: consapevolezza e responsabilità. Il coach aiuta il coachee a prendere in mano la propria vita con un atteggiamento responsabile e contestualmente lo rende consapevole attraverso il feedback.

Quella di creare consapevolezza è una delle competenze chiave per un coach, e si basa sulla capacità di assicurare feedback costanti, che permettano alla persona di avere un riscontro su di sé e utilizzarlo per cambiare il proprio comportamento, sviluppando nuovi apprendimenti.

Un modello dell’autostima a quattro dimensioni

In un articolo di Maxwell e Bachkirova, uscito nel 2010 sulla rivista “International Coaching Psychology Review”, è stato presentato il modello dell’autostima di Christopher J. Mruck mettendolo in relazione con il lavoro del coach.

Nel modello di Mruck la dimensione dell’autostima viene descritta come il risultato dell’interazione di due forze: reputazione e competenza.  Per “reputazione” si intende la qualità della approvazione che la persona riceve da parte di sé e degli altri. Per “competenza” si intende la qualità delle conferme che provengono da realizzazione e successi. L’interazione delle due forze, nei loro diversi livelli (alto o basso), produce quattro diverse forme di autostima.

I tipi di autostima instabili sono l’autostima basata sulle competenze o sulla reputazione:

  1. Autostima basata sulle competenze (CSE): la persona ha una scarsa reputazione di sé e una forte spinta verso la performance. La sua autostima si fonda sulla necessità di ottenere risultati e successi costanti, poiché questi le permettono di mascherare un senso di insoddisfazione di base. Appartengono a questa categoria le persone dipendenti dal lavoro (workaholic), perfezioniste, mai soddisfatte di ciò che ottengono e sempre alla ricerca di nuove sfide.
  2. autostima basata sulla reputazione (WSE): la persona assegna estrema importanza alla reputazione, mentre ha un basso livello di competenza percepito. L’autostima di queste persone si basa sulla necessità di ricevere approvazione da parte degli altri e di sé, approvazione che compensa la mancata percezione (o la mancanza effettiva) di competenze in settori importanti. In questa categoria – nella sua accezione estrema – troviamo persone narcisiste o egoiste, che basano la loro vita sull’apparenza più che sulla sostanza.

Fallimenti (CSE) o feedback negativi da parte degli altri (WSE) possono fortemente incidere sul livello di autostima di queste persone, poiché la loro autostima è instabile e suscettibile di ciò che accade nel quotidiano. Queste persone hanno quindi difficoltà ad accettare i feedback, perché li vivono come minacce capaci di destabilizzarle, e potrebbero rifiutarli. Tuttavia, le persone CSE e WSE, avendo un’autostima instabile e quindi sensibile agli stimoli esterni, sono quelle che maggiormente possono beneficiare di un percorso di coaching, perché il feedback del coach – se calibrato sulla capacità del coachee di accoglierlo – avrà su di loro il potere di suscitare emozione utili alla consapevolezza e al cambiamento.

I tipi di autostima stabili sono la bassa o alta autostima stabile:

  1. Bassa autostima stabile: è l’autostima delle persone che hanno una scarsa percezione della propria reputazione e delle proprie competenze. La loro autovalutazione è costantemente scarsa. Tendono a cercare conferme della loro inadeguatezza, preferiscono non mettersi in gioco o non ricevere feedback, piuttosto che rischiare di mettersi in discussione.
  2. Alta autostima stabile: sono persone dotate di una valutazione positiva delle proprie competenze e della propria reputazione. Sono in grado di accogliere valutazioni o giudizi negativi e rispondere in modo adeguato ad essi. Si mettono in gioco senza paura, vivono gli eventi quotidiani con serenità, hanno poco bisogno di controllo.

Utilizzare l’autostima come riferimento nel coaching

Un coach che tenga presente questo modello di autostima può efficacemente dosare i propri feedback in relazione agli obiettivi che il coachee si prefigge.

In particolare:

  1. Con il coachee CSE, la cui autostima si basa sul riconoscimento delle competenze a fronte di una scarsa qualità personale percepita, sarà utile puntare su un rinforzo delle qualità positive della persona. In questo modo si aiuterà il coachee a ridimensionare l’importanza del risultato e della performance, permettendogli di abbassare lo stress e raggiungere un miglior bilanciamento fra vita personale e lavoro.
  2. Con il coachee WSE, la cui autostima si basa principalmente sul bisogno di vedere riconosciuta la propria reputazione pur a fronte di una percezione negativa di competenza, la sfida per il coach è grande. Sono persone che ostentano sicurezza, ma che nel profondo si sentono fragili. Si sentono minacciate da qualunque feedback possa metterle in discussione, per cui difficilmente accettano il coaching specialmente se viene loro presentato come misura per correggere dei comportamenti sbagliati, mentre possono più facilmente accoglierlo se offerto come premio, come strumento per rafforzare le loro già valide capacità. Il coach deve avere quindi particolare delicatezza nel dare feedback negativi, perché potrebbero essere rigettati. Potrà invece lavorare su tutto ciò che permetterà al coachee di muoversi meglio nella dimensione delle relazioni interpersonali, infatti non è infrequente che un coachee di questo tipo possa avere comportamenti svalutanti nei confronti degli altri.
  3. Bassa autostima stabile: un coachee di questo tipo troverà scarso beneficio da un percorso di coaching. Il coach dovrebbe accompagnarlo nel migliorare sia la propria percezione di competenza che la benevolenza verso sé stesso. Si tratta di un lavoro lungo e che molto ha a che vedere con la struttura di personalità e la storia dell’individuo, pertanto il coaching potrebbe non essere lo strumento più adatto. Un percorso di supporto psicologico è certamente la via migliore.
  4. Alta autostima stabile: sono i coachee più abili nel gestire in modo autonomo l’apprendimento e lo sviluppo personali, perché colgono spontaneamente i segnali esterni e li utilizzano per migliorarsi. Un coach potrà essere utile per accompagnarli e potenziare il miglioramento della performance, ma ci si può attendere che una persona con alta autostima stabile non cerchi o non venga inserita dall’azienda in un percorso di coaching, perché riesce ad essere autosufficiente.

Per concludere

L’autostima del coachee influisce fortemente su diversi aspetti della relazione e del processo di coaching: senso di utilità del percorso, creazione di un’alleanza fra le due parti, sviluppo della consapevolezza e assunzione di responsabilità del cambiamento, capacità di mettersi in gioco e di apprendere dall’esperienza.

Anche quando l’autostima non è uno degli obiettivi del percorso coaching, rimane in sottofondo come dimensione che facilita o mette ostacoli al potenziamento della persona. È quindi fondamentale che un coach cerchi di acquisire elementi per comprendere il modo in cui il coachee accoglie i feedback e li integra nella visione che ha di sé.

Probabilmente un percorso di coaching non è veramente in grado di incidere sulle componenti stabili dell’autostima (sia che sia alta, sia che sia bassa), mentre può potenziare la consapevolezza e stimolare apprendimenti utili specialmente nelle persone che sono più suscettibili agli stimoli esterni (feedback o risultati di performance) e che modificano la percezione di sé in base ad essi.

Bibliografia

Forsman L., Johnson M., Ugolini V., Bruzzi D., Raboni D. (2003) Basic SE Basic Self-Esteem Scale. Valutazione dell’autostima di base negli adulti, Erickson.

Maxwell A. e Bachkirova T. (2010) Applying psychological theories of self-esteem in coaching practice. International Coaching Psychology Review, Vol. 5 No. 1 March 2010 © The British Psychological Society

Mruck C. J. (1999) Self-esteem. Research, theory and practice, Springer Publishing Company

Whitmore J. (2009) Coaching. Come risvegliare il potenziale umano nel lavoro, nello sport e nella vita di tutti i giorni. Ed. Alessio Roberti