Cinema e coaching – Il grande capo

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Il grande capo” è un film scritto e diretto da Lars von Trier nel 2006, che consiglio di vedere a chiunque abbia sperimentato la vita d’azienda.

Un po’ come tutta la saga dei Fantozzi, questa pellicola ci mette di fronte alle peggiori nefandezze che caratterizzano la vita del singolo e dei gruppi nel contesto organizzativo, ponendo l’accento sui rapporti di potere e come influenzino – in negativo – le relazioni.  

“Il grande capo” ci racconta in maniera eccellente come avvenga il tipico meccanismo di scarico della responsabilità: quante volte in azienda vi è capitato di sentir dire “è colpa del cliente”, o “l’ha deciso il capo” o “il fornitore non ha fatto in tempo” o simili?  Il film è la drammatizzazione estrema di  questa meccanismi e mette in luce anche altri aspetti “malati” delle dinamiche organizzative: la manipolazione, l’imposizione del potere e la sottomissione su tutti.

La trama

Protagonista della storia è una coppia piuttosto interessante: uno è il titolare di un’azienda, prossimo alla vendita della stessa, che non ha mai svelato ai propri dipendenti la sua vera identità (si è infatti finto manager alla dipendenze di un proprietario inesistente – il “grande capo”, appunto). L’altro è un attore ingaggiato dal proprietario dell’azienda per interpretare il ruolo del fantomatico “grande capo”.

Tutta la pellicola ruota intorno alle difficoltà che l’attore si trova ad affrontare nell’impersonare un ruolo al quale viene preparato solo in parte: il titolare è stato molto abile nell’utilizzare il “grande capo” per manovrare i dipendenti a proprio uso e consumo (è arrivato persino a mettere in atto una operazione seduttiva con una delle collaboratrici), ma altrettanto poco generoso nelle informazioni fornite all’impostore per gestire la situazione.

La rilettura psicologica

Non vi svelerò tutta la trama del film, perché credo valga la pena vederlo. L’unica accortezza che raccomando è di guardarlo con una salda dose di ironia: è molto facile, di fronte a questo genere di denunce della piccolezza umana, immedesimarsi con il ruolo della vittima ed entrare nell’ottica del pessimismo, che ci fa vedere solo i lati negativi e ci de-responsabilizza rispetto alle nostre scelte.

È invece utile ricordare che in qualsiasi situazione possiamo fare una scelta, ad esempio fra subire e non subire, che può anche essere di compromesso (es. “sopporto finché non trovo un altro lavoro”), ma in ogni caso è nostra.

Una delle prime cose che cerco di trasmettere, specialmente durante i percorsi formativo o di coaching,  è la differenza fra il muoversi da vittima e muoversi da respons-abile (ovvero persona abile a rispondere). Un bell’esempio di persona non responsabile è proprio il titolare dell’azienda del film: un individuo che pur di non mettere la faccia sulle proprie scelte, le attribuisce a un soggetto inesistente. Solo l’atteggiamento responsabile ci porta a vivere positivamente l’esistenza e raggiungere una condizione di benessere sul piano personale. Il vittimismo è un’espressione di vissuti di rabbia e tristezza, e molto difficilmente ci sposta dalla condizione esistenziale di persone infelici.

Buona visione!